Edoardo Sant’Elia. Filosofia delle narrazioni contemporanee. La Bellezza. 5

Duemila. La tribù delle storie

La Bellezza 5.   Quale senso 

 

   Interrogarsi di continuo sulla Bellezza, sul suo significato giocoforza soggetto a mille mutamenti di gusto, di moda, di ambienti, di epoche. Oppure considerarla come qualcosa di oggettivo, di eterno, qualcosa che, codificata nei suoi variabili stili, non può che spingerci all’ammirazione, al trasporto, di là da ogni ulteriore valutazione. Nel saggio che ha dedicato alla bellezza, il filosofo britannico Roger Scruton parte da un preciso assunto: “La bellezza, dichiaro, è un valore reale e universale, un valore radicato nella nostra natura razionale, e il senso della bellezza ha un ruolo indispensabile nel plasmare il mondo umano”.  Continua a leggere

Intervista a Antonio Fiori

di Luca Pizzolitto

1) “La stessa persona” è una raccolta di poesie che viene pubblicata a poco più di un anno di distanza da “Vita di un altro” (Inschibbolet, 2023). Partiamo dai titoli, entrando passo passo nella tua scrittura: c’è continuità con il libro precedente o, come sembri voler suggerire fin dalla copertina, una profonda frattura?

In comune, gli ultimi due libri, hanno la convulsa ricerca di me stesso. In “Vita di un altro” mi cerco negli altri (nella poesia degli amici, nei poeti immaginari e nei ricordi, più o meno autobiografici, di una fraterna amicizia); quest’anno invece, con “La stessa persona”, ritorno ad una raccolta poetica classica, divisa in due sezioni – quella eponima e una seconda più escatologica e religiosa – con testi prevalentemente epigrammatici. Risulta, credo, abbastanza evidente il denudamento tipico indotto dagli esami di coscienza. Continua a leggere

Decalogo: 2. Non nominare il nome di Dio invano

di Alida Airaghi

L’inquilina dell’ultimo piano
cosa sa del dolore di chi abita al quarto?
L’anziano murato in un tempo remoto
parla con i perduti, chiede scusa
di non esserci stato. La donna
pressata da dubbi teme il futuro
(esultanza o capestro), che di lei
non si cura. Entrambi pedine
si sfiorano appena, esitanti
all’ingresso, muti nell’ascensore,
evitando persino il saluto. Continua a leggere

Lo stato dell’arte. Domenico Lombardini

Ritengo che questo tipo di società forzi allo scrivere chi non trovi, per destino o vocazione o per punizione, sbocco a una attività strettamente politica.

Amelia Rosselli

Di cosa parliamo, qui? Di espressione artistica, di arte e, in particolare, di poesia. Ma, in generale, cosa possiamo dire dell’arte? Qual è il suo scopo? O, per meglio dire, cosa spinge una persona a produrre arte? Potremmo dire, cercando di cavarcela con poco: per affermare la sovranità dell’individuo come assoluto. Se ciò può essere detto in generale, allora cosa possiamo dire della poesia in particolare? Assolve la poesia al compito di rendere assoluto l’individuo? E l’individuo è pronto a portare questa sua assoluta – ossia slegata – individualità, o preferirebbe forse perdersi nell’indistinzione?

L’espressione genuina del proprio individuo come dispositivo produttore di senso, questo potrebbe essere lo scopo finale dell’espressione artistica e, quindi, della poesia. L’individuo ritiratosi nel proprio particulare, al crocevia tra politica e spiritualità, non può che fare arte; oppure non può che perdersi nella massa. Non trovando senso alla propria vita nella politica o nella spiritualità istituzionalizzata (le chiese, i dogmi, le teologie), l’urgenza di ricercarlo si proietta e concentra al centro dell’individuo dove crea vuoto e silenzio. L’ansia di riempirlo e di non sentirlo produce ricerca di assoluto al prezzo della solitudine (arte) o ricerca di rumore al prezzo della massificazione (indistinzione). Continua a leggere

L’albero di Jammes, dalla deposizione alla raccolta.

di Gian Piero Stefanoni

“questo nido sulla vostra fronte”

Quello che ho detto ho detto, eppure nel momento della deposizione, laddove il movimento di gravitazione è segnato per sempre in quelle carni, in quel sangue, chi è davvero per noi quell’uomo nel cui sudario è tutta la risposta ad una contrastata e disordinata oscurità d’amore? Sciolti i lacci, strappati i chiodi chi ha volto nell’abbandono tra quelle donne, tra quelle mani nel riflesso di uno sguardo cui va ad affidarsi? 

In realtà, forse, solo la madre sembra saperlo davvero (in una raffigurazione che ha per me la sua immagine nell’affresco della cappella di Santa Giuliana Falconieri in via dei quattro venti a Roma, nel quartiere dove abito). 

Nell’umiltà di quella forza in cui il mondo continua a reggersi prima della domenica, prima di tutte le albe e le domeniche delle nostre resurrezioni, è la coscienza di un carico portato non nell’immagine di un credo nel recinto delle proprie attese ma raccolto nello spazio di una incarnazione nel compimento definitivo della sua Parola.  Continua a leggere

L’arte dello scrivere, di Gualberto Alvino

Esiste un verbo, anzi una particolare accezione di un verbo comunissimo — tentare — che potrebbe tornare utile a quanti lavorano con le parole: non solo l’abbastanza nota tentare le tenebre ‘aprire uno spiraglio di luce nel buio’, ma tentare un foro ‘cercare di allargare uno stretto pertugio’.
La consiglio vivamente agli amici scrittori.

Marina Petrillo, Indice di immortalità

di Gino Rago

Marina Petrillo, Indice di immortalità, Prometheus Editrice, Milano, 2023

 Non è possibile accostarsi a questo nuovo, recentissimo libro di Marina Petrillo senza ricorrere a quell’armamentario barthesiano incentrato sulla conoscenza dei tre piani del linguaggio scritto. Più precisamente, sulla tripartizione lingua-stile-scrittura che governa la produzione di ogni autrice/autore, nell’atto stesso dello scrivere, così come si presenta ne Il grado zero della scrittura, volume che si apre proprio con la domanda: «Che cos’è la scrittura?»., su cui lo stesso Barthes scrive: Continua a leggere

Quando tutto era intero: le 100 poesie di Franca Alaimo

[immagine di Clara Beatriz]

a cura di Biagio Accardo

 C’è un tempo nel quale noi e il mondo siamo una sola cosa? C’è uno stadio della vita in cui il disegno dell’Essere e dell’esserci coincidono? Forse sì. La ricerca di questa immagine originaria 
( l’arché dei  presocratici, la meta luminosa e, nello stesso tempo, oscura, cui tendevano i grandi mistici, l’e-stasi di cui ebbe a parlare Plotino), ovvero la ricerca di questo intero, costituisce la materia soggiacente a tutte le 100 poesie di Franca Alaimo, nel libro edito di recente da peQuod, per la Collana Portosepolto. All’altezza ormai del suo vastissimo e profondo magistero poetico, l’autrice indaga l’inafferrabile natura del nostro esserci, quell’ “ininterrotta notizia che dal silenzio si forma”, (1) per dirla con Rilke; quello spirare di un dio di cui non riusciamo mai a figurarci il volto, mossa da un’unica e forse ultima ambizione, quella della totalità. Non è forse questa la vocazione che il grande poeta austriaco, Rilke, vero maestro della nostra autrice, affida al suo Orfeo, quando nel nono sonetto canta? : “ Solo colui che anche tra ombre/levò la lira,/può con cuore presago cantare/ la lode infinita… Solo nel duplice regno/le voci si fanno/ miti ed eterne”.
Poesia dunque come parola della totalità, parola che vuole ricomporre l’originaria ferita dell’ esserci, perché, per il solo fatto d’essere stati vissuti, e di viverli,  “ i dolori sono tali per darci infine più frutto” (2); poesia come  itinerario poetico di ricomposizione, come vedremo dopo, che si snoda attraverso una geografia spirituale nella quale trovano posto creature semplici e umili, colme di una bellezza indicibile; mediante un linguaggio meditativo, quasi sapienziale che, lontano da ogni impellenza del dire, ha acquisito una sua più rarefatta essenzialità che consente a chi legge di entrare subito in sintonia con l’anima della scrittrice. 
Si tratta di un viaggiare, poesia dopo poesia, per territori in cui non servono più indicazioni, si tratta di un andare per terre  che solo i poeti “sciocchi e beati” sanno percorrere. Chiaro è lo scopo: ricongiungersi con “quell’acqua di Sorgente” da cui tutto ha preso inizio.  Continua a leggere

Lo stato dell’arte. Enrico Fraccacreta

Immagino paesi nei deserti
sino a scoprire le coperte
di ogni landa.
Avvitandomi nella scala elicoidale
di ogni discendenza.
Cercare nei secoli di ogni abitante
le virtù scomparse
i giorni tormentati.
Fare un giro nelle strade metafisiche
e bere un thè insieme
a un impenetrabile califfo,
nella città delle terre vergini
o nel silenzio calato sugli spazi.
Trovare l’avviso dei propri peccati
sulla faglia di Ninive,
e la forza di superare la montagna
il vento del deserto,
per la città immortale.

Vede

Solo Gesù conosce il nostro desiderio. Sa che spesso è deviato, sfigurato. Sa che ci vuole pazienza perché emerga nella sua purezza originale. Allora sarà pronto per l’incontro della vita, quando il cuore, finalmente, vede.

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Lo stato dell’arte. Alberto Fraccacreta

La poesia ha oggi un singolare destino: è diventata a tutti gli effetti una merce di consumo, peraltro prodotta da centinaia di milioni di persone nel mondo (solo in Italia si contano due milioni di poeti), ma la sua reale incidenza nella società è minima, marginalissima, direi nulla. In alcuni paesi essa ha ancora una forza politica (comunque in senso lato), ma in Italia e in alcune parti dell’Occidente rischia di essere un momento di puro otium letterario, sganciato dalla realtà, non esente da tentazioni narcisistiche. In generale, la letteratura non gode più del prestigio e della considerazione di cui godeva nel Novecento e nei secoli passati. Il titolo di un libro di Todorov del 2007 è, non a caso, La letteratura in pericolo. Sarebbe sbagliato, tuttavia, cadere nell’insignificanza. Per massimizzare il potenziale della poesia bisogna lavorare umilmente dal basso, nella quotidianità: valorizzarla nei corsi universitari, costituire movimenti letterari, leggere libri ad alta voce in gruppo (come fanno a New York, notizia di pochi giorni fa), favorire il contatto con la musica. Ma soprattutto è necessario cambiare prospettiva: considerare la poesia e la letteratura come un patrimonio comune che si radica nel nostro partecipare al genere umano, che è di tutti, gratuitamente, e deve essere ‘vissuta’ nell’autenticità. In un’epoca in cui è in crisi la figura dell’autore, è certamente un’opportunità ricordare e riaffermare la centralità della poesia come postura esistenziale e non come possibilità di affermazione personale né come estetizzante solitudine del testo. Questa è la speranza, questa forse è la vera vita, secondo Adam Zagajewski.

Lucerne nella luce, di Lucio Brandodoro

IV dom. Pasqua B

[Gv. 10,11-18]

 

?Troppo spesso, la tradizione cristiana ha dato al “Buon Pastore” un senso pietistico. Quel “buon” è stato inteso come connotazione morale, nel senso di “colui che è buono, che non fa del male”. In realtà, il termine greco è “kalòs”, “bello”, che non indica una caratteristrica estetica ma, piuttosto, una efficienza. Il buon pastore, insomma, è colui che fa bene il suo mestiere di pastore. Continua a leggere

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Lo stato dell’arte. Marco Amore

Caro Fabrizio, la poesia conserva una voce significativa persino in ambiti estranei alla sua natura apparente, come l’urbanistica tattica, dove si sperimenta la reinvenzione di attività con una creatività che potremmo assimilare all’arte poetica, senza il timore di essere smentiti; il che, del resto, vale anche per l’art thinking e la logica d’impresa. Questo concetto è al centro del mio libro, L’Ora del Mondo (Samuele Editore, pag. 82, prefazione di Luigino Bruni), che propone di riconsiderare gli aspetti economico-finanziari da una prospettiva altra, attraverso lo strumento – non solo linguistico – della poesia. Se consideriamo la poesia come un filtro emotivo indispensabile per reinterpretare la realtà in tutte le sue sfaccettature, non solo stimolando l’intelligenza emotiva e il pensiero divergente, ma anche nella sua funzione primaria, la quale spesso è travisata dall’autore a meri fini promozionali, allora essa assume una utilità fondamentale. In risposta alla tua domanda sul “ritrovare una strada”, e spostandoci dalla sfera sociale a quella individuale, la poesia è certamente uno strumento efficace per tracciare un percorso personale o quantomeno utile a superare momenti difficili, poiché, come le tecniche immaginative proprie delle arti visive e, in particolare, della pittura (ut pictura poesis!), illumina il nostro mondo interiore e dà forma ai nostri pensieri e alle nostre emozioni più profonde, che altrimenti resterebbero sopite o inespresse, mentre incoraggia l’introspezione e il pensiero critico. Infine, per quanto riguarda la speranza, non credo che la poesia debba necessariamente risvegliarla, ma piuttosto essere uno strumento che favorisce il cambiamento.

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Primitivo Americano, di Mary Oliver

di Mauro Ferrari

Mary Oliver, Primitivo americano, a cura e con traduzione di Paola Loreto, Einaudi 2023

Nella splendida traduzione di Paola Loreto (autrice anche di una interessante nota di apertura) è stata appena pubblicato Primitivo americano, l’ultima raccolta della poetessa americana Mary Oliver (1935-2019). Si tratta di poesia etichettabile, in senso molto limitativo però, come spesso accade anche per le etichette più significative, come “ecopoetry”, quindi inquadrabile in quel vasto movimento culturale che ha radici profonde nella cultura e nella poesia americana (ma non solo). Il manifesto della ecopoetry, anche reperibile in rete, enfatizza il lato ecologista, diciamo pure politico, e mette l’accento sulla salvaguardia del pianeta e un nuovo rapporto con gli altri esseri viventi, sui diritti fondamentali dell’Uomo, la pacifica coabitazione dei popoli e “le nuove e varie introspezioni dell’Io”: punta insomma su aspetti cruciali del pensiero contemporaneo, compreso il distanziamento dalle poetiche paludate e accademiche, “per aprirsi a una comunicazione poetica chiara e semplice, comprensibile per tutte le culture” e quindi anche facilmente traducibile, per diffondersi almeno negli intenti tra un pubblico più ampio.
Legami e apparentamenti poetici sono evidenti con autori come Walt Whitman e la sua poesia intrisa di oralità; l’American Renaissance, anche con i suoi risvolti misticheggianti: R. W. Emerson e H. David Thoreau, Robert Frost e il contemporaneo Gary Snyder. Ma, restando in ambito anglofono, è impossibile non citare Wordsworth e, nella poesia più o meno recente (e per motivi diversissimi) il Ted Hughes di Moortown, River e Wolfwatching Continua a leggere

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